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RECENSIONE - IL MIRAGGIO, Camilla Läckberg e Henrik Fexeus

  • Immagine del redattore: Alessandra Spanò
    Alessandra Spanò
  • 30 apr
  • Tempo di lettura: 3 min

Il miraggio (titolo originale Mirage), terzo capitolo della trilogia cofirmata da Camilla Läckberg e Henrik Fexeus, si inscrive pienamente nel genere del thriller psicologico nordico, ma con importanti innesti di poliziesco classico e suggestioni derivanti dal romanzo d’enigma. L’opera si distingue per una narrazione che ibrida le atmosfere cupe e il rigore investigativo del noir scandinavo con elementi più spettacolari e analitici, propri della detective fiction deduttiva. L’apporto di Fexeus, noto mentalista, introduce un’inedita contaminazione tra logica e suggestione, razionalità e manipolazione percettiva, rendendo Mirage una variazione sofisticata e postmoderna sul tema dell’investigazione.


L’universo diegetico de Il miraggio è stratificato, cupo e coerentemente realistico. La Stoccolma rappresentata da Läckberg e Fexeus non è solo uno sfondo urbano, ma un organismo pulsante e ambiguo, sospeso tra la rigidità delle istituzioni e l’opacità delle relazioni umane. Il paesaggio urbano diviene proiezione dei conflitti interiori dei personaggi, contribuendo alla costruzione di un ambiente claustrofobico, dominato da un senso di instabilità latente. I riferimenti tecnologici e psicologici sono puntuali, radicando l’intreccio in un presente riconoscibile e disturbante.


La struttura narrativa de Il mitaggio è complessa e orchestrata con precisione. Il romanzo si articola in una progressione incalzante di capitoli brevi, alternando i punti di vista dei diversi protagonisti. La polifonia interna è calibrata per aumentare la tensione drammatica, ma anche per far emergere gradualmente le zone d’ombra dei personaggi. La costruzione dell’intreccio si fonda su un’alternanza fra indagine e introspezione, con un crescendo di rivelazioni che culminano in un epilogo di forte impatto.


Mina Dabiri emerge come una figura profondamente complessa, segnata da traumi e fobie che tuttavia non ne intaccano la lucidità analitica. La sua ossessiva attenzione all’igiene e la misofobia sono sintomi di un disagio profondo che si traduce in una straordinaria capacità di cogliere i dettagli. Vincent Walder, a sua volta, è una figura liminale, oscillante tra l’ambiguità del mentalismo e il desiderio di verità. Il rapporto fra i due protagonisti evolve in modo non lineare, spesso contraddittorio, ma è proprio in questa tensione relazionale che si colloca il motore psicologico del romanzo. I personaggi secondari sono ben delineati, anche se talvolta funzionali all’intreccio più che autonomamente sviluppati.


Lo stile di Il miraggio è diretto, ritmato e fortemente visivo. Läckberg e Fexeus impiegano una lingua asciutta ma evocativa, capace di trasmettere tensione attraverso il montaggio serrato delle scene e l’uso strategico del dettaglio. La tecnica narrativa privilegia l’effetto immersivo: il lettore è continuamente sollecitato da cambi di prospettiva e da colpi di scena sapientemente dosati. L’alternanza fra introspezione e dialogo mantiene un equilibrio efficace tra ritmo narrativo e approfondimento psicologico. Le tecniche tipiche del thriller—falsi indizi, doppi sensi, giochi di specchi—sono qui declinate con un intento più analitico che sensazionalistico.


Il miraggio si distingue per la capacità di generare nel lettore un'esperienza emotiva multiforme. Il romanzo produce stati di tensione e sospensione attraverso l'architettura del mistero, ma vi affianca momenti di introspezione psicologica che stimolano una risposta empatica verso i personaggi principali. Particolarmente efficace è la rappresentazione degli stati di disorientamento cognitivo, che permette al lettore di sperimentare, attraverso la mediazione narrativa, le stesse illusioni percettive descritte nel testo.

La progressiva rivelazione dei traumi passati dei protagonisti crea un coinvolgimento emotivo che trascende la semplice curiosità investigativa. Il lettore si trova così a partecipare a un duplice processo di svelamento: quello esterno del caso criminale e quello interno delle verità psicologiche dei personaggi. Ne Il miraggio il lettore è continuamente chiamato a decifrare indizi, a sospettare, a partecipare al processo deduttivo. L’opera stimola tanto la dimensione cognitiva quanto quella affettiva, attraverso una sapiente alternanza di tensione e catarsi. Le fragilità dei protagonisti suscitano empatia, mentre la crudeltà degli eventi indagati produce un effetto perturbante che perdura anche dopo la conclusione della lettura.


Il miraggio è un romanzo che conferma la capacità di Läckberg e Fexeus di rinnovare il thriller psicologico nordico, fondendo introspezione e spettacolarità, logica investigativa e inquietudine esistenziale. L’opera chiude degnamente una trilogia che si è distinta per originalità e rigore narrativo, pur non rinunciando a una dimensione popolare e accessibile. Per un pubblico di lettori specialisti, Mirage rappresenta un esempio rilevante di come il genere thriller possa, oggi, farsi veicolo di interrogativi filosofici e riflessioni sul potere della narrazione stessa.


 
 
 

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