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RECENSIONE - Io sono qui di Angie Kim

  • Immagine del redattore: Alessandra Spanò
    Alessandra Spanò
  • 20 apr
  • Tempo di lettura: 4 min

Io sono qui (titolo originale Happiness Falls) di Angie Kim rappresenta un caso esemplare di narrativa contemporanea che sfida le convenzioni del romanzo familiare americano attraverso una struttura stratificata e un'esplorazione profonda di tematiche universali attraverso una lente culturale specifica. Quest'opera, pubblicata in origine nel 2023 e giunta in Italia nel 2025 come primizia della nuova Casa Editrice Heloola Books, si colloca all'intersezione di diversi generi letterari, creando un tessuto narrativo molto complesso.


A un primo livello di lettura, Io sono qui si presenta come un mystery novel con elementi di thriller psicologico: la scomparsa di un padre mentre era in compagnia del figlio minore affetto da disabilità (autismo e incapacità di parlare), costituisce l'enigma centrale che guida lo sviluppo narrativo, con indizi disseminati strategicamente e un crescendo di tensione che culmina nella rivelazione finale. Tuttavia, definire il romanzo semplicemente come un mystery significherebbe ridurne drasticamente la complessità.


Al di sotto della superficie del mistero si dispiega un profondo romanzo familiare che indaga le micro-fratture nei legami interpersonali e le strategie di sopravvivenza emotiva all'interno del nucleo familiare. Kim costruisce una genealogia del trauma che attraversa generazioni, esplorando come i silenzi e i non-detti plasmino le relazioni familiari. L'elemento mystery diventa quindi un dispositivo narrativo per esplorare questioni più profonde legate all'identità e alla comunicazione.


Un terzo livello di lettura colloca l'opera nel contesto della letteratura della diaspora coreano-americana, esaminando la specifica esperienza di una famiglia immigrata e di prima generazione che negozia costantemente tra due culture. Il romanzo può essere interpretato come un mondo costruito all'incontrario, dove il percorso di formazione non riguarda solo i personaggi più giovani, ma coinvolge l'intera famiglia in un processo di ridefinizione identitaria collettiva.


Questa ibridazione di generi non è casuale, ma funzionale alla rappresentazione di una realtà stratificata e contraddittoria. Kim utilizza le convenzioni di generi diversi per creare un effetto di straniamento che costringe il lettore a riconsiderare continuamente le proprie aspettative narrative. Il romanzo si configura così come un metagenere che riflette sulla propria natura composita, invitando a una lettura che superi i confini tradizionali per abbracciare la complessità dell'esperienza contemporanea.


Ogni capitolo di Io sono qui presenta una costruzione binaria che alterna la narrazione degli eventi presenti con riflessioni metalinguistiche sulla natura della comunicazione. Questa struttura duale riflette la scissione esistenziale vissuta dai protagonisti, divisi tra diverse appartenenze culturali e linguistiche. I capitoli si configurano come unità semi-autonome, ciascuna focalizzata su un aspetto specifico, ma interconnesse attraverso motivi ricorrenti e rimandi interni.


Io sono qui esplora una costellazione di temi interconnessi che si irradiano dal nucleo centrale della comunicazione e delle sue aporie. Il tema primario è indubbiamente quello dell'ineffabilità dell'esperienza umana, della distanza incolmabile tra l'esperienza vissuta e la sua articolazione linguistica. Attraverso la condizione di Eugene, Kim estremizza una condizione universale: l'impossibilità di tradurre pienamente in parole la complessità dell'esperienza soggettiva. Questa riflessione metalinguistica permea l'intero romanzo, manifestandosi nelle difficoltà comunicative tra tutti i personaggi, non solo in relazione ad Eugene.


Io sono qui è un romanzo che si muove abilmente tra il thriller psicologico e il dramma familiare, attraversato da riflessioni filosofiche e questioni etiche complesse. Tra gli aspetti più positivi del romanzo di Angie Kim c'è la voce narrante: la protagonista, Mia, è una giovane razionale, logorroica, a tratti cinica e disincantata, e intellettualmente vivace, che racconta la vicenda con un tono a metà tra l’analisi logica e il flusso di coscienza. Il suo punto di vista non solo guida l’indagine familiare, ma funge anche da lente critica sul linguaggio, l’identità e la comunicazione. È un’eroina inusuale, spesso tremendamente irritante, ma anche molto umana. Io sono qui, inoltre, sfida i pregiudizi sulla disabilità e sul concetto di intelligenza, interrogandosi su cosa significhi davvero “capire” e “farsi capire”. L’inserimento della teoria della felicità sperimentale del padre scomparso diventa una chiave interpretativa per il modo in cui ogni personaggio affronta il dolore e la verità.


Ma non si può non notare che Io sono qui a volte soffre per l’eccessiva densità teorica. I lunghi excursus filosofici e scientifici, per quanto stimolanti, rallentano il ritmo narrativo e rischiano di distrarre dall’emotività del racconto. Alcuni lettori potrebbero trovarli più pedanti che illuminanti, soprattutto nella seconda metà. Inoltre, nonostante l’inizio sia molto promettente, con la tensione che monta attraverso la voce insicura di Mia, la parte centrale si dilunga in analisi interiori a scapito dell’avanzamento del mistero. Il romanzo è meno interessato a “risolvere” il caso che a decostruirlo, ma ciò può risultare frustrante per chi si aspetta una narrazione più convenzionale e meno concettualistica.

In conclusione, Io sono qui Io sono qui è un romanzo intelligente, ambizioso e profondamente originale, che sfida il lettore a riconsiderare ciò che crede di sapere sulla comunicazione, la disabilità e la natura della felicità. Tuttavia, la sua forza riflessiva è anche il suo limite: l’intellettualismo a tratti invadente e la tensione narrativa incostante potrebbero renderlo meno accessibile a un pubblico abituato a trame più lineari. Resta comunque una lettura consigliata per chi cerca una narrativa emotivamente complessa e intellettualmente stimolante.



 
 
 

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