RECENSIONE - Jean des Cars, L’imperatrice Sissi
- Alessandra Spanò
- 7 apr 2023
- Tempo di lettura: 5 min
AUTORE Jean Des Cars
TITOLO ORIGINALE Sissi, l'impératriche d'Autriche
DATA DI PUBBLICAZIONE IN PRIMA EDIZIONE 1983
DATA EDIZIONE ITALIANA 2015
CASA EDITRICE Leg
PAGINE 378
Ci sono tre tipi di biografie. Quelle di serie C, che ricorrono solo a opere pubblicate, peraltro prendendo e lasciando ciò che pare e piace e che danno credito a qualunque fonte, senza nessun tipo di vaglio se non scientifico, ma almeno di buon senso: pessime e da evitare, secondo me. Quelle di serie B, che ricorrono a fonti memoriaistiche, poco o non passate con troppo rigore al vaglio critico, a letture di storiografia antiquata, senza consultare tutta la storiografia esistente e recuperabile e che guardano poco e male le fonti archivistiche dirette. Quelle di serie A, invece, non si fanno mancare nulla, tra ricerche d'archivio (anche in più nazioni, se necessario), fonti d'epoca e storiografia comprendente in teoria tutto ciò che è stato pubblicato sul personaggio in questione.
Quando poi si affronta la biografia di un personaggio iconico, indecifrabile, controverso, avvolto nel mito e con l'allure che solo bellezza, ricchezza e sangue blu possono dare, il rischio di cadere nel trash, nell'imprecisione, nella sciatteria, nella partigianeria è molto alto e quindi occorre altissima professionalità e accortezza, unite ad anni e anni di studi, prima di dare alle stampe una biografia che dica qualcosa di nuovo su un personaggio storico o che ne dia un ritratto da una prospettiva mai esplorata.
La biografia di Elisabetta di Baviera di Des Cars, secondo me rientra nel tipo di biografia B.
Non risulta che abbia consultato fonti di archivio o comunque non viene data alcuna indicazione in merito. La bibliografia è scarsa e scarna. Non dà indicazioni per recuperare gli originali delle lettere nell'epistolario fra Elisabetta e Francesco Giuseppe, per es., o dove abbia reperito il giudizio dato da X su Y. Questi sono errori strutturali che inficiano, secondo me, una buona parte del suo lavoro.
Un punto positivo è la descrizione corretta e accurata dello sfondo storico.
Preciso e corretto il ritratto dell'imperatore Francesco Giuseppe e del benevolo influsso che la moglie ebbe nei suoi primi anni accanto al sovrano, mitigandone le possibili asprezze di una prolungata politica di forza nel ristabilimento dell'ordine post 1848.
Della protagonista che dice? Dell'infanzia assolutamente nulla: noi ci ritroviamo Elisabetta quindicenne che accompagna la madre all'incontro di famiglia col giovane imperatore al fine di dargli in sposa la figlia maggiore, Elena.
Si sorvola sul comportamento scandaloso del duca Max e dell'infelicità coniugale di Ludovica, tranne che per brevissimi tocchi.
Si evita in tutti modi, nello scorrere degli anni di individuare in Elisabetta i chiari sintomi di una personalità narcisistica quale essa era, come ha perfettamente provato Brigitte Hamann nella sua splendida biografia Sissi e la più benevola Nicole Avril nel suo lavoro sull'imperatrice.
Elisabetta era una personalità altamente disturbata, profondamente infelice, per nulla empatica, narcisista al punto da ricondurre a lei persino la prematura morte del figlio.
Sui fatti di Mayerling vorrei aprire un capitolo a parte, perché qui il nostro Autore secondo me, per un atto di assoluta deferenza nei confronti dell'ultima imperatrice, Zita di Borbone, commette un grave errore di valutazione storica.
Su Mayerling si sono fatte da subito le illazioni più fantasiose e stravaganti. E Francesco Giuseppe, prostrato nel suo infinito dolore, lascia che sui giornali venga pubblicata qualunque enormità perché, come lui stesso ammette perentoriamente: "Tutto è meglio della verità". E fa giurare tutte le persone coinvolte a vario titolo, di mantenere il segreto più assoluto fino alla morte e di non lasciare nulla di scritto che possa far risalire alla verità.
Caso vuole che le esternazioni di Zita sul presunto omicidio di Rodolfo e, come danno collaterale, di Maria Vetsera, vengano rese pubbliche nello stesso anno in cui è dato alle stampe il corposo e accuratissimo libro sulla morte di Rodolfo del dott. Gerald Holler, medico, il quale dopo un'immrsione lunghissima negli archivi della farmacia imperiale e in quelli documentali, ha potuto smentire in maniera definitiva alcune delle teorie sulla morte del principe: quella legata alla dipendenza dalla morfina, quella legata alla follia a due del doppio suicidio come sfida alla morte, quella del suicidio per il fallimento di un presunto complotto politico contro suo padre.
Ma questo padre, che ogni giorno stava a lavorare alla scrivania, con puntiglioso senso del dovere, solo per consegnare a suo figlio ed erede un Impero in grado di prosperare, ne avrebbe avuto un così caro, sofferto, amorevole ricordo per tutta la vita, se questi lo avesse spudoratamente tradito per pura smania di potere?
Dove sta scritto che Rodolfo era geloso del potere del padre? Lui che, soldato dalla testa ai piedi, tutto faceva per compiacerlo e rendersi sempre più sicuro del suo amore? I dissidi padre-figlio, nell'ultimo periodo della vita di Rodolfo, erano di natura personale e non politica. Il principe, di sua iniziativa, senza dire nulla ai genitori, aveva scritto al papa chiedendo che il suo matrimonio fosse dichiarato nullo. Des Cars non mette per niente in evidenza quanto possa essere inaudito, nelle famiglie regnanti dell'epoca, un gesto di quella portata.
Holler, che disegna benissimo la psicologia dei due amanti (Rodolfo e Maria), dà una soluzione altamente probabile che abbia permesso a Rodolfo di salvare l'onore personale, quello familiare e quello dinastico dopo essersi reso responsabile di un atto di inaudita gravità, gestito con imbarazzante leggerezza. Un aborto procurato che causa la morte del feto e della madre è una catastrofe di dimensioni cosmiche. Con estrema probabilità Martia Vetsera muore lentamente in seguito ad un'inarrestabile emorragia dovuta ad un'interruzione di gravidanza eseguita maldestramente a Vienna, con la complicità della contessa Larisch, nell'immediatezza della partenza per quello che agli occhi del mondo doveva essere uno dei tanti weekend di relax nella riservata tenuta di caccia di Rodolfo.
Quando si capisce che le condizioni di Maria non le permettono di sopravvivere, i due scrivono lettere alle rispettive famiglie per spiegare, in modo volutamente anodino, la loro prossimità alla morte. Maria parla di sé come "persona morente", cioè in fin di vita, in agonia.
Se la verità nuda e cruda fosse venuta fuori, la monarchia sarebbe crollata: un erede al trono che procura un aborto alla sua giovanissima amante, è scomunicato, cancellato dalla linea di successione, messo al bando da ogni paese civile, un colpo mortale per una dinastia radicalmente cattolica come gli Asburgo a cui si può sfuggire solo, secondo il codice d'onore militare dell'epoca, ben presente nella testa e nel cuore del principe ereditario, solo pagando con la vita.
I primi testimoni che entrano nella camera (i più attendibili perché inconsapevoli) parlano di un Rodolfo colpito alla testa, col suo cervello e il sangue sparsi ovunque e, dall'altra parte, la ragazza già bianchissima, fredda e rigida, con le coperte infradiciate di sangue dalla vita in giù.
Questa è la fotografia più vicina alla verità di quanto accadde.
Da qui in poi inizia il depistaggio implacabile che permette all'imperatore di far seppellire suo figlio cristianamente, di evitare il crollo della dinastia e dell'impero, di evitare uno scandalo planetario, cercando di sopravvivere al proprio personale e straziante dolore, per tutta la vita.
Da qui il lasciare scorrere le fanasie più sfrenate.
Da qui il radere al suolo il castello di Mayerling.
Da qui il trattamento di assoluto distacco nei confronti dei Vetsera e dell'orribie sepoltura di Maria.
Da qui la costruzione della cappella espiatoria in cui le monache di clausura carmelitane pregano incessantemente ufficialmente per l'anima di un defunto. Ma un defunto assassinato innocentemente non avrebbe bisogno che si pregasse per lui da qui alla fine dei tempi nel tentativo di salvargli l'anima. Un defunto suicida e responsabile della perdita di due vite, sì.
È proprio la tempistica delle dichiarazioni di Zita, a ridosso della pubblicazione del libro di Holler, che lascia perplessi. Francesco Giuseppe non voleva che si sapesse la verità. Non sappiamo cosa Francesco Ferdinando prima e Carlo dopo avessero la necessità di sapere, secondo l'imperatore. Di sicuro quello di Zita appare il disperato tentativo di dar seguito alla suprema volontà dell'imperatore scomparso: che la gente creda a tutto, ma che non si avvicini mai alla verità.


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