RECENSIONE - Jeffery Deaver, La dodicesima carta
- Alessandra Spanò
- 28 mar 2022
- Tempo di lettura: 3 min
AUTORE: Jeffery Deaver
TITOLO: La dodicesima carta
LUOGO DELL’EDIZIONE ITALIANA: Milano
CASA EDITRICE: Rizzoli
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2005
EDIZIONE LETTA: 2021
COLLANA Best BUR
NUMERO DI PAGINE
FORMATO: brossura
ANNO DELLA PRIMA EDIZIONE ORIGINALE: 2005
TITOLO ORIGINALE: The Twelft Card
Jeffery Deaver è tra gli autori di thriller più prolifici al mondo e tra i più conosciuti e venduti. In particolare la serie che narra i casi di L. Rhyme è quella più ricca di titoli, tutti molto evocativi. Ecco, l’abilità di Deaver comincia dalla scelta dei titoli, ma banali, ma che suggeriscono un significato che poi non corrisponde, se non in modo traslato, a ciò che la narrazione svela. Il giallo inizia già dal titolo, dove nulla è come sembra.
Tutti ricordano la trasposizione cinematografica del primo grande romanzo della serie di Rhyme, Il collezionista di ossa, ma come al solito, nonostante l’eccezionale bravura di Denzel Washington, il personaggio del criminalista è molto più complicato, sofferto, profondo e geniale di quanto possa apparire riprodotto in celluloide.
Lyncoln Rhyme era un uomo tormentato già da prima dell’incidente che lo ha reso tetraplegico; un matrimonio fallito alle spalle, niente figli, una vita totalmente immersa nelle scene dei crimini più singolari, dalle quali non usciva mai mentalmente finché ogni minuscolo frammento non andava a collocarsi nel giusto posto per dare senso a quanto accaduto. Dopo l’incidente e la conseguente tetraplegia, i suoi nuovi tormenti si fondono coi precedenti e l’avrebbero certo portato al suicidio, se la comparsa nella sua vita di Amelia Sachs, agente di polizia efficiente, ma ancora “ingenua” per certi versi, non lo avesse in parte risvegliato dal torpore. Istruita da Rhyme, Amelia, bellissima ex modella, si introduce con leggerezza e abilità nelle scene dei crimini e, usando il metodo di sovrapporre in essa un’immaginaria griglia, raccoglie ogni più piccolo dettaglio che possa essere utile alla ricostruzione dei fatti e alla cattura dei colpevoli. Il loro legame è fortissimo e non si riduce al campo lavorativo, ma anche affettivo.
La dodicesima carta è un caso esemplare per conoscere al meglio le tecniche narrative di Deaver. Si parte da un tentato stupro nei confronti di un’adolescente che studia in biblioteca, per arrivare, dopo una serie di inaspettati cambi di prospettiva investigativi ad intuire e poi chiarire una verità inaspettata, sorprendente. Il lettore è letteralmente calamitato dal ritmo incalzante in cui gli indizi, pian piano, rivelano anomalie, incongruenze, contraddizioni rispetto a quello che con malcelato disprezzo, Rhyme definisce “movente”. Per lui sono i fatti scientificamente analizzati e provati che portano al movente e al colpevole e non viceversa. Ma Amelia spesso smentisce questo suo mantra e con la sua intelligenza e l’attenzione all’animo umano, completa la visuale monoculare del suo compagno e contribuisce in maniera determinante alla soluzione dei casi. Questo è uno dei romanzi più intricati della serie di Rhyme ed anche uno dei più paradigmatici per comprendere la meccanica dei protagonisti della squadra, del legame di Lyncoln e Amelia, del gioco di specchi che disorienta con abilità consumata il lettore fino all’inaspettatissimo finale, che scaturisce da più colpi di scena. Anche la carta dell’impiccato, la dodicesima nel mazzo dei tarocchi, non è quello che sembra. L’abilità di Deaver sta anche nel disegnare personaggi unici nel loro genere. Non sono piatte comparse ma personaggi a tutto tondo, anche se ricoprono un ruolo secondario. Uno dei più riusciti è l’assistente Thom, paziente, sagace, imperioso quando è il caso, che deve continuamente mettere in riga il suo stravagante datore di lavoro per permettergli di prendersi cura della sua persona, fisicamente provata dalla disabilità. I battibecchi tra i due possono essere esilaranti e a volte si svolgono solo con gli sguardi.
Gli assassini sono anch’essi personaggi particolarissimi, con moventi che non si comprendono se non si legge tutto con grande attenzione fino all’ultimo rigo dell’ultima pagina. Ed è così anche ne La dodicesima carta, dove i colpevoli si muovono sullo sfondo di una brutta storia di intrighi crudeli contro uno schiavo liberato, negli anni immediatamente successivi alla Guerra civile del 1861-65.
Leggere la serie di Rhyme è un piacere assicurato. Io non ho iniziato in ordine, incuriosita dalla notorietà dell’autore, ho acquistato un titolo della serie a caso e poi, affascinata e conquistata, ho iniziato a riprendere le fila dei casi a iniziare dal primo. Credo che se ci si fa catturare dalla bravura e dall’assoluta originalità di questi romanzi, molti altri thriller, se pur di ottima fattura, sembreranno al confronto scontati, insipidi, persino noiosi. È l’effetto collaterale di conoscere davvero che significhi la scrittura e la narrativa portata ai vertici per spessore dell’intreccio, dialoghi e scultura dei personaggi. E quindi, chapeau, mister Deaver!
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