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RECENSIONE - La prima bugia vince di Ashley Elston

  • Immagine del redattore: Alessandra Spanò
    Alessandra Spanò
  • 5 giorni fa
  • Tempo di lettura: 3 min

La prima bugia vince (titolo originale First Lie Wins) di Ashley Elston si colloca nel filone del thriller psicologico contemporaneo, manifestando una complicata ibridazione di sottogeneri come vuole la moda del XXI secolo. L’opera attinge dalla tradizione del thriller e del noir, ma sviluppa una particolare affinità con il thriller domestico, caratterizzato dalla tensione tra normalità di superficie e pericolosità latente. L’elemento distintivo risiede nell’incorporazione di componenti del thriller di spionaggio e della narrativa di identità fluida, creando quello che si potrebbe definire un thriller metamorfico. Il romanzo si inserisce inoltre nella tradizione del narratore inaffidabile, dove l’inaffidabilità narrativa non è limitata alla percezione soggettiva, ma si estende alla natura ontologica stessa dell’identità del protagonista.


L’universo narrativo di Elston articola una geografia dell’inganno che si sviluppa attraverso una cartografia simbolica dell’America post-industriale, dove spazi urbani anonimi e periferie suburbane apparentemente idilliache nascondono reti criminali sofisticate. Si tratterebbe di una sorta di realismo di copertura: la superficie normalizzante della classe media americana funge da schermo per strutture di potere parallele che operano secondo logiche proprie. L’autrice costruisce deliberatamente un sistema di riferimenti che mantiene una vaghezza strategica sui meccanismi di controllo superiori. Questa scelta narrativa rappresenta una strategia precisa: la claustrofobia dell’esperienza soggettiva amplifica la tensione psicologica e riflette la condizione del soggetto contemporaneo, che naviga in sistemi di potere la cui totalità gli rimane necessariamente opaca.


La struttura narrativa di La prima bugia vince adopera una configurazione temporale non lineare che alterna presente e flashback in una disposizione che riflette la frammentazione identitaria del protagonista. La progressione narrativa segue un andamento a spirale che si stringe progressivamente attorno alla rivelazione centrale, creando un effetto di crescente e disturbante claustrofobia narrativa.


Evelyn Porter/Lucca Marino emerge come una protagonista profondamente ambigua, caratterizzata da una altalenante fluidità identitaria. Il personaggio incarnatala figura dell’agente infiltrato, ma trascende gli stereotipi del genere attraverso una psicologia complessa che naviga tra sopravvivenza, opportunismo e ricerca di autenticità relazionale. Ryan Sumner è costruito come controfigura apparentemente normativa che nasconde la propria partecipazione al mondo criminale, rappresentando il tema dell’inganno reciproco. Mr. Smith funziona come antagonista che incarna il potere invisibile e manipolatorio, mentre personaggi secondari, come Devon, fungono da elementi di stabilità in un universo caratterizzato dalla mutevolezza identitaria.


L’opera esplora primariamente il tema dell’identità fluida e performativa, interrogando la natura autentica del sé in una società che privilegia l’apparenza. La questione dell’identità femminile in contesti di potere emerge attraverso la rappresentazione di donne che utilizzano la propria capacità mimetica come strumento di sopravvivenza e affermazione. Il tema della fiducia e del tradimento permea l’intera narrazione, esplorando le possibilità e i limiti delle relazioni umane in contesti di inganno strutturale.


Lo stile di Elston privilegia un registro colloquiale, utilizzando la voce narrante in prima persona per creare intimità con il lettore. La prosa mantiene un ritmo sostenuto che serve le esigenze del genere pur sacrificando la profondità psicologica dei personaggi.


La prima bugia vince presenta alcune debolezze strutturali decisamente evidenti: la complessità dell’intreccio rischia di prevalere sulla coerenza psicologica dei personaggi; alcune delle rivelazioni finali, pur sorprendenti, necessitano di una sospensione dell’incredulità che può risultare eccessiva per lettori particolarmente attenti alla verosimiglianza. La caratterizzazione di alcuni personaggi secondari rimane talvolta funzionale alle esigenze di trama piuttosto che psicologicamente convincente.


Il romanzo di Ashley Elston si inserisce fondamentalmente nel dibattito contemporaneo sull’identità fluida, utilizzando gli strumenti del thriller per esplorare questioni che trascendono i confini del genere letterario, ma presenta alcune debolezze nella gestione della verosimiglianza e nella caratterizzazione dei personaggi che potrebbero risultare incomprensibili e disorientanti per molti lettori.


 
 
 

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